Tra i tanti studiosi – archeologi, storici dell’arte, simbolisti, ecc. – che dall’inizio del secolo scorso hanno fornito plausibili spiegazioni a proposito della figura tradizionale del labirinto, che a tutt’oggi presenta ancora molti aspetti enigmatici, vi sono anche coloro che hanno teorizzano uno stretto legame tra il simbolo e i fenomeni celesti, ovvero il moto dei pianeti, insieme a quello del Sole e della Luna, secondo naturalmente la visione degli antichi.
Il mistero delle origini e del significato. Vale innanzitutto la pena di ricordare, al fine di sgombrare il campo dagli eventuali luoghi comuni, che la più diffusa immagine del labirinto come “luogo in cui ci si smarrisce” tra vicoli ciechi, falsi sentieri e giri a vuoto, ha origine in realtà solo dal Rinascimento: a partire dalla prima metà del XVI secolo, in Spagna e probabilmente ancor prima in Italia, a Mantova, vennero realizzati i primi giardini-labirinti con “le vie che ingannano”. Tutti i labirinti a noi pervenuti risalenti all’antichità e al medioevo sono invece costituiti da un unico percorso “oscillatorio” da un ingresso/uscita esterno fino al centro, unico punto cieco, da cui si può solo tornare indietro invertendo la direzione di marcia.
Le prime raffigurazioni di labirinti, circolari e scolpite nella roccia, risalenti al II millennio a. C. nella regione spagnola della Galizia, trovandosi in prossimità di antiche miniere di stagno hanno fatto sospettare a diversi studiosi (ad es. H. Birkhan) che l’origine del simbolo fosse collegato all’attività mineraria, e che questo raffigurasse simbolicamente le “viscere della Madre Terra”.
Ma altri studiosi (come C. S. Adama van Scheltema) pur non negando il collegamento con le antiche miniere, hanno sostenuto l’ipotesi esattamente contraria, facendo osservare che la figura circolare assomiglia anche alla pianta dei templi megalitici con orientamento solare, tipo Stonehenge in Inghilterra, di cui esistevano alcuni esempi anche sulle sponde atlantiche della Penisola Iberica. Le figure circolari incise nella roccia potrebbero aver avuto allora la funzione di simboli apotropaici, usati dai minatori in chissà quali riti magici, per impetrare la protezione del dio sole durante il loro rischioso lavoro sotterraneo.
Sempre su questa linea di ricerca archeo-astronomica lo storico tedesco Hermann Wirth ha ipotizzato che le volute circolari della figura del labirinto intendessero riprodurre le orbite dei pianeti visibili a occhio nudo, con tanto di apparente moto retrogrado, riprodotto simbolicamente nell’andamento oscillatorio delle linee che si allontanano e si riavvicinano al centro. Similmente anche l’antropologo svizzero Raymond Christinger a sua volta ha visto nelle curve concentriche del simbolo i movimenti del pianeta Venere, mentre in anni a noi più vicini, nel 2007, lo studioso americano Sig Lonegren ha invece sostenuto che il pianeta in questione fosse Mercurio. Come ha tuttavia osservato lo studioso tedesco Hermann Kern – insieme al britannico Jeff Saward uno dei maggiori esperti al mondo di labirinti – queste spiegazioni presuppongono che fossero rilevanti agli occhi dei loro artefici non il percorso interno bensì i corridoi (cioè le linee incise nella roccia) che lo delimitano (cfr. H. Kern, Labirinti. Forme e interpretazioni, Feltrinelli, p. 29).
La curva e la retta. Con la successiva diffusione della figura del labirinto nell’area Mediterranea a partire dagli ultimi secoli del II millennio a. C. (tarda età del bronzo), le possibilità di interpretazione in senso archeoastronomico si complicano ulteriormente. Molto probabilmente furono i Greci Micenei a diffondere fuori dalla Penisola Iberica (da cui importavano metalli) il simbolo. E sicuramente furono ancora loro a collegarlo sia con la figura del Minotauro – noto non solo a Creta, dove era considerato anche un elemento celeste col nome di Asterion, ma pure in Sardegna, in Puglia, ecc. – sia con il termine Dapirinto (poi, secondo il Palmer, rapidamente trasformatosi in Labirinto) presente nei testi minoici. Tuttavia l’unico esempio di labirinto a noi giunto della civiltà micenea è quello inciso su di una tavoletta di terracotta rinvenuta fra le rovine della città di Pilo, nel cosiddetto Palazzo di Nestore, il saggio sovrano acheo dell’epopea omerica. Ma l’esemplare, conservato al Museo di Atene, non è circolare, bensì quadrato, forse a causa della predilezione per le forme rettilinee da parte dei Micenei.
Sarebbe veramente difficile dunque ricollegare i corridoi ad angolo retto con l’orbita di qualsiasi corpo celeste, con andamento normale o retrogrado che si voglia. Tuttavia sempre il Kern fa notare come a Creta vennero rinvenuti diversi esemplari di monete che riportano interessanti indizi. Un primo gruppo di queste raffigurano labirinti quadrati, risalenti ad un periodo successivo al 431 a. C., e costituiscono gli unici esempi di labirinti ritrovati nella patria di Dedalo e Minosse. Un altro gruppo di monete (conservate come le altre al British Museum), appartenenti ad un periodo precedente, dal 500 al 431 a. C. riportano una svastica su di un lato (a volte con un sole a otto raggi al centro) e un Minotauro in corsa con braccia e gambe formanti anch’essi la figura di una svastica. Poichè quest’ultima figura geometrica presso i Greci era notoriamente un’immagine simbolica del sole, il medesimo Kern esprime la personale “convinzione, difficilmente giustificabile con precisi documenti, che fra il labirinto e i moti dei corpi celesti debba sussistere una connessione essenziale […]” (H. Kern, Labirinti…, cit. p. 30).
In realtà già in età antica qualche autore sosteneva un collegamento tra il labirinto ed i fenomeni celesti. In un testo di autore ignoto, ma attribuito al grammatico e filosofo romano Mario Vittorino (IV sec. d. C.) viene ricordata la danza di ringraziamento (o “danza delle gru”) che – secondo quanto riportato da Plutarco – Teseo avrebbe eseguito insieme ai suoi compagni a Delo, dopo essere sfuggito alle fauci del Minotauro. Secondo l’autore (Vittorino o altri), le sette coppie di ateniesi avrebbero danzato e cantato imitando non solo il percorso celeste degli astri conosciuti ma anche le loro armonie musicali secondo la classica visione pitagorica. Tuttavia come esplicitamente descritto nel testo antico, la danza era eseguita secondo movimenti circolari, in virtù del fatto che si dovevano imitare le orbite (apparenti) del sole, della luna e degli altri cinque pianeti conosciuti all’epoca (cfr. H. Kern, Labirinti…, cit. p. 28)
Per tutto il periodo antico certamente non mancarono figure di labirinti circolari, più o meno raffinati sotto il punto di vista artistico, da quello piuttosto rozzo inciso sul vaso etrusco di Tragliatella (VII sec. a. C.) esposto ai Musei Capitolini a Roma, a quello all’opposto splendido di Pafos, a Cipro (IV sec. d. C.), un vero capolavoro di mosaico policromo curato nei minimi dettagli. Ma la stragrande maggioranza, quasi tutti mosaici pavimentali di ville o terme, sono quadrati, e spesso incorniciati da mura fortificate: due aspetti stilistici che rendono quindi molto difficile, come detto sopra, qualsiasi loro correlazione simbolica con il cielo e i suoi molteplici fenomeni celesti, e al contrario portano molti studiosi a considerarli come rappresentazioni apotropaiche sia delle città dei vivi, con le loro mura difensive, sia del sottostante mondo sotterraneo, dimora degli avi defunti, alla cui protezione e prosperità gli abitanti della medesime città venivano raccomandati.
Gli otto lati del cielo. Solo una sparuta minoranza di labirinti romani, di forma non quadrata, suggerisce possibili correlazioni di tipo archeoastronomico. Nell’area museale dei Fori Imperiali, a Roma, a poca distanza dal Colosseo, si trovano le rovine della Domus Flavia, residenza dell’imperatore Domiziano (81 – 96 d. C.). Nel suo peristilio si possono ancora ammirare i muretti bassi che disegnano un labirinto di forma perfettamente ottagonale con cinque corridoi, che facevano parte di una fontana ornamentale.
Anche se esso rappresenta il primo esempio di labirinto con questa forma geometrica, in realtà vi erano stati altri esempi di monumenti ottagonali, quali ad es. la Torre dei Venti ad Atene. Edificata quest’ultima intorno al 50 a. C. la si può ancora oggi ammirare in quello che era l’Agorà romano, ed ognuno dei suoi lati è decorato con l’immagine di un essere alato che rappresenta uno degli otto venti principali. Allineata quasi perfettamente ai punti cardinali, essa costituisce infatti il primo esempio nella storia di “rosa dei venti”, poiché la sua finalità era proprio questa: studiare la dinamica dei venti proprio come una stazione meteorologica. Ad ogni lato dell’ottagono corrispondeva il nome di un vento differente che spirava da quella direzione, come già stabilito nei millenni precedenti sia dalla tradizione marinara, sia soprattutto dall’archeoastronomia antica (nelle civiltà mesopotamiche, in quella egiziana, in quella megalitica, ecc.) che avevano suddiviso l’orizzonte terreno in otto parti: i quattro punti cardinali più le albe e i tramonti dei solstizi invernale ed estivo, in corrispondenza all’incirca dei punti intermedi (Nord-Est, Nord-Ovest, Sud-Est, Sud-Ovest). Ognuno di questi otto punti dell’orizzonte terreno e celeste aveva naturalmente un valore sacro, perchè sette di essi vengono toccati dal sole, dall’alba al tramonto, al solstizio d’estate, mentre l’ottavo, il nord, dove il sole non arriva mai (perlomeno a tutte le latitudini diverse da quelle polari), corrisponde alle stelle circumpolari che non tramontano mai, anche se visibili ovviamente solo di notte. La figura dell’ottagono pertanto possedeva il significato beneaugurante di eternità ed immortalità.
Anche la fontana-labirinto ottagonale della Domus Flavia a Roma – bussola alla mano – risulta quasi perfettamente orientata ai punti cardinali, e dunque è ragionevole ipotizzare che anch’essa avesse un significato apotropaico e magico-protettivo. Probabilmente intendeva collegare idealmente il mondo terreno, rappresentato dall’acqua, sia con la dimensione sotterranea degli spiriti degli antenati – il labirinto – sia con il cielo e le divinità astrali, simboleggiate dall’ottagono/rosa dei venti.
Fino a questo momento, per quanto riguarda l’età antica, si conosce con certezza solo un altro labirinto di forma ottagonale. Fra le rovine delle terme dell’antica città di Rusguniae, oggi Tametfoust Bordi El-Bahari, in Algeria, è presente un pavimento a mosaico che riproduce appunto un labirinto ottagonale risalente al IV secolo d. C. Al centro di esso vi è un coloratissimo albero pieno di frutti, simbolo di prosperità e buona fortuna. Ma altri due labirinti circolari romani appartenenti al secolo precedente, quello di Cormerod (Friburgo, Svizzera) e quello di Verdes (conservato a Blois, in Francia), presentano una suddivisione in otto settori, proprio come gli otto punti dell’orizzonte o “rosa dei venti”. Al centro del secondo sono anche presenti 12 figure stellari, probabilmente le costellazioni zodiacali.
Tra Cielo e Terra. In definitiva, a motivo della seria scarsità di informazioni riguardo ai labirinti dell’età antica, solo quei pochi di forma ottagonale, e, molto probabilmente, anche quelli circolari divisi in otto settori, possono lasciare ipotizzare un significato simbolico archeoastronomico. Riguardo a tutti gli altri, è molto probabile che intendessero esclusivamente rappresentare l’Ade o tuttalpiù – a giudicare dalle cinte murarie che circondano molti di essi – anche le città dei vivi.
Nella successiva età medievale vennero costruiti labirinti di forma ottagonale sui pavimenti di alcune grandi cattedrali gotiche di Francia (ad Amiens, Arras, Genainville, Reims, Saint Quentin) ma ufficialmente l’antico significato archeoastronomico si perse e venne sostituito da una spiegazione alquanto artificiosa: per i teologi cattolici il numero otto simboleggiava la domenica – ottavo giorno dopo il sabato, a sua volta settimo giorno ebraico – per i cristiani non solo giorno del Signore, ma anche della Pasqua di Resurrezione, e dunque della condizione di eterna salvezza. Curiosamente tuttavia nella cattedrale di Amiens, il centro del labirinto ottagonale, decorato con una croce e quattro angeli, non segue l’orientamento perpendicolare della figura, ma è leggermente spostato verso le sue diagonali. Il motivo ce lo spiega ancora una volta Hermann Kern: “l’asse orientato diagonalmente al coro doveva indicare il punto dell’orizzonte su cui, la mattina del 15 agosto (Assunzione della Vergine, cui era dedicata la chiesa), sorgeva il sole. …” (H. Kern, Labirinti, cit. p. 197). La finalità dunque era quella di rifarsi all’antica tradizione archeoastronomica – che sarebbe erroneo considerare perduta in età medievale – che doveva idealmente ricollegare la Terra col Cielo, il mondo corrotto dal male, simboleggiato nel medioevo proprio dal labirinto, con il sole (la grazia divina) nel giorno dell’Assunzione della Vergine Maria. Un’attestazione in più insomma della probabile correlazione, persino ancora in età medievale, tra l’enigmatica figura del labirinto ed i fenomeni celesti legati soprattutto al sole.
Bibliografia essenziale:
– Hermann Kern, Labirinti. Forme e interpretazioni, Feltrinelli.
– Jeff Saward, The first labirinths, in: www.labyrinthos.net
– Federica Cordano, Il labirinto come simbolo grafico della città, in: www.persee.fr
– Carla Salvetti, La rappresentazione del labirinto e della cinta muraria in un mosaico romano da San Giovanni in Laterano, in: www.academia.edu
– Ignazio Burgio, Labirinti: enigmi svelati, misteri irrisolti, Streetlib editore.
– Aurelio Bruno, Kosmos, Il mondo degli antichi The mirror of the stars di Arnau De Vilanova Institute of Medieval Studies