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Home Psicologia

L’impotenza appresa nella violenza storica: Il Ratto delle Sabine

Come le leggende influenzano l’immaginario collettivo

Susanna Basile di Susanna Basile
Febbraio 20, 2022
in Psicologia
Tempo di lettura: 3 minuti
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L’impotenza appresa nella violenza storica: Il Ratto delle Sabine

Nicolas Poussin Il ratto delle Sabine

Il ratto delle Sabine. Appena fondata, Roma appare già come la più forte città della regione. Ci vorranno alcuni secoli perché emerga sulle città vicine attraverso le società guerriere e patriarcali infatti Roma è presentata come una città maschile e le donne servono soltanto per la procreazione e per stabilire vincoli e alleanze con i popoli vicini. Infatti per l’ideologia militare, il rapimento non si configura come un atto di violenza, ma come una risposta necessaria a un affronto, cioè il rifiuto di dare le donne per la ripopolazione è un affronto invece rapirle no? Quindi la guerra costituisce la base della forza dello Stato, che però deve essere anche capace di inglobare i popoli conquistati. Il mito del ratto delle Sabine diventa un modello politico: le donne, rapite con la forza, entrano a far parte della cittadinanza, ma il loro matrimonio costituisce la premessa di un’alleanza con il popolo sabino. Infatti è bene aggiungere che di lì a poco il regno di Roma sarebbe stato condiviso da Romolo con un re sabino TitoTazio, per cui alla fine le uniche che ci sono andate di mezzo sono state le donne Sabine ma vediamo come.

Il ratto della Sabine Pietro Da Cortona

 

Il ratto delle Sabine è una delle storie più antiche della storia di Roma, una leggenda. Romolo, dopo aver fondato Roma, si rivolge alle popolazioni confinanti per stringere alleanze e prendere delle donne con cui procreare e popolare la città appena fondata. Quando i vicini si rifiutano organizza un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione e rapisce le loro donne.

“Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall’altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli… e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo”. (Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo, 19, 1-3.)

“Da una parte supplicavano i mariti (i Romani) e dall’altra i padri (i Sabini). Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. […] Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non sono di vostro gradimento, rivolgete contro di noi l’ira; noi siamo la causa della guerra, noi siamo responsabili delle ferite e dei morti sia dei mariti sia dei genitori. Meglio morire piuttosto che vivere senza uno di voi due, o vedove o orfane”.

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 13.)

Non è un caso che le donne abbiano maturato nel corso dei secoli una sorta di sindrome chiamata “impotenza appresa” nell’ambito delle neuroscienze e della psicologia, al comportamento esibito da un soggetto dopo aver sopportato ripetuti stimoli avversi al di fuori del suo controllo. Come uno stato mentale in cui un essere vivente, dopo che è stato esposto a frequenti stimoli avversivi, ossia dolorosi o comunque spiacevoli, diventa incapace o riluttante a evitare il successivo incontro con questi stessi stimoli, anche se sono evitabili. Helplessness sta dunque ad indicare una condizione di estrema impotenza, la concezione che, a scapito di tutto ciò che si possa fare, la situazione non cambierà mai. Si è in balia del destino: non solo io non posso fare niente per evitare l’inevitabile, ma nessun’altro può farlo, il mio destino è segnato.

Jacques Louis David Le Sabine

Così si potrebbe spiegare come le fantasie sessuali femminili sono spesso dominate da qualche migliaio di anni dalle fantasie sessuali maschili. Se partiamo dalla fondazione di Roma e cioè dal Ratto delle Sabine sono circa 2.770 anni e con la nuova terminologia psicologica ci si chiede se si trattò:

  • di biastofilia (stupro non consenziente)?
  • di raptofilia (stupro consenziente)?

A quanto pare le sabine si interposero a difesa di mariti (stupratori) e di genitori (passivi e inconsciamente consenzienti) che vennero in loro soccorso dopo circa un anno dall’avvenuto subdolo ratto: le donne sollevarono gli infanti nati dalla copula con i romani interponendosi tra padri e nonni per scongiurare un’inutile faida parentale.

Ecco perché c’è una grande differenza tra “le fantasie sessuali che allungano la vita” e “i desideri sessuali di femminicidio” che in qualche modo pervadono le donne e gli uomini perché non capiscono quello che è giusto, piacevole, e voluto da quello che è sbagliato, schifoso e costrittivo. Come avveniva con “la nostra fuitina”. Che era consenziente quando lo era. Per piacere per volontà e per passione. Ma le origini della fuitina ve le spiegheremo la prossima volta.

Tags: biastofiliaimpotenza appresaJacques Louis DavidNicolas PoussinPietro Da CortonaPlutarcoraptofiliaRomaRomoloSabiniTito LivioTito Tazio

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