Vocifero audioracconti: Il papà di Simon di Guy de Maupassant

Voce narrante Graziana Maniscalco regia sonora Giuseppe Romeo note a cura di NinovRomeo e Susanna Basile

 

Inizia una collaborazione col prestigioso Centro Teatrale Siciliano nella persona di Nino romeo, Graziana Maniscalco e Giuseppe Romeo. Inizieremo col pubblicare i racconti di Guy de Maupassant.

“L’esperienza acquisita e i numerosi ascolti ottenuti da Vocifero audioracconti ci hanno spinti a progettare, curare, produrre e, ora, a pubblicare questo podcast dedicato alle novelle di Guy de Maupassant che riprende i caratteri editoriali di Vocifero: cura tecnica delle registrazioni; studio approfondito dei materiali; preparazione degli interpreti; tessitura sonora creata appositamente per ciascun audioracconto. Il nostro Maupassant, quello che per decenni abbiamo letto e riletto, biascicato in solitario o ad alta voce in pubblico, pretende una collocazione monografica.

Perché le 308 novelle pubblicate da Maupassant -sia che abbiano l’estensione di poche pagine, sia che abbiano la consistenza di romanzi brevi- riservano tutte delle sorprese: nella struttura, nella scrittura, per la storia, per i personaggi, per i finali spiazzanti: e tutte, sia quelle dichiaratamente cupe e drammatiche, sia quelle apparentemente leggere e umoristiche, portano i tratti distintivi di un Autore, forse contradditorio nelle esposizioni ma fortemente unitario per temi e sensibilità d’artista”. Graziana Maniscalco e Nino Romeo

IL PAPÀ DI SIMON (1879) Le papa de Simon di Guy de Maupassant voce narrante Graziana Maniscalco regia sonora Giuseppe Romeo. Il piccolo Simon, bersaglio degli insulti dei compagni di scuola perché “senza padre”, trova nel fabbro Philippe il padre che si prenderà cura di lui. 

Nota a cura di Nino Romeo

Il papà di Simon è la settima novella (di oltre trecento) pubblicata da Maupassant; ed è una delle poche ad avere per protagonista un bambino.

Eppure, sono tanti i racconti di Maupassant che hanno per argomento, o per sfondo, l’infanzia: infanzia/trauma (come in Cameriere, una birra!, già pubblicato in questo podcast monografico); infanzia/status psicologico continuato.
Ancor di più: le sue novelle sono popolate di bambini; anzi, di figli: figli illegittimi, ripudiati, non accettati, asfissiati da madri amorevoli e possessive, figli trascurati da padri indifferenti.

Nel paese della provincia francese, sordida come quella di altre novelle (La Signora Baptiste, tra tutte, di prossima pubblicazione su questo podcast), ove è ambientato il racconto, paese tanto insignificante per Maupassant da non meritare neanche il nome, la Blanchotte, la mamma di Simon, sedotta e abbandonata come tante ragazze di Maupassant (in prosieguo della tradizione letteraria che ha il suo prototipo nella Fadette de I Miserabili) è ‘chiacchierata’ e messa al bando dalle donne del paese, malmaritate con uomini ubriaconi e violenti, eppure elevate dallo stato acquisito di spose legittime. E così i figli, picchiati e maltrattati da quei padri, eppure fieri della propria ‘legittimità’, irridono e sbeffeggiano il loro compagno Simon perché “senza padre”. Ed irrisione e sbeffeggio si fanno violenza di gruppo contro il singolo (altro tema ricorrente in Maupassant).

Essendo uno dei racconti di esordio, Il papà di Simon presenta tratti convenzionali, nell’impianto e nello stile narrativo, che saranno abbandonati nei successivi racconti per approdare alla scrittura potente ed incisiva che fa di Maupassant uno degli autori più apprezzati e letti (a tutt’oggi) dell’Ottocento francese.

Ma riscontriamo nella novella due momenti di altissima intensità descrittiva: la scena in cui Simon si ritrova in riva al fiume, meditando il suicidio, e in cui, per gioco, tormenta una rana, divaricandole le zampe, quasi a rivalersi sul povero animale per i torti subiti dai suoi compagni di scuola; e la scena dei cinque fabbri che battono all’unisono il ferro arroventato: scena mitologica (che richiama il dipinto di Diego Velasquez La fucina di Vulcano), come un’assise di saggi che indicano a Philippe, a seguito della richiesta di Simon, la via del matrimonio con la Blanchotte.

Insolito è il lieto fine di questo racconto: Maupassant conclude la maggior parte delle sue novelle in maniera tragica o ironica; comunque, inattesa e spiazzante per il lettore.

Nota a cura di Susanna Basile psicologa

“Un bambino senza papà” meglio morto che non sapere chi sia, meglio violento e ubriacone senza sapere chi sia: meglio un padre nuovo che possa accogliere la mia anima di bambino abbandonato. Questa è la funzione della psicoterapia il reparenting. Cioè ritrovare un buon genitore, in questo caso un papà sufficientemente buono come direbbe lo psicologo Winnicott.

Maupassant non poteva ancora sapere che “il suo bambino interiore” il piccolo Simon ma anche il piccolo Maupassant abbandonato dal nobile e ricco padre che passava da fiore in fiore lasciando la madre al suo destino, sarebbe potuto guarire attraverso la terapia: no! Lui ci mette un archetipo preciso, l’eroe: il padre ritrovato il fabbro insieme ai fabbri è Tubalcain, “colui che spezia (aromatizza) il mestiere di Caino”, è il capostipite della famiglia dei fabbri, i Cainiti, esperti metallurghi, ossia di coloro i quali possedevano i segreti della metallurgia, poi sfociati nell’alchimia. Il fabbro alchimista, nelle società tradizionali, è il mestiere che viene subito dopo quello dello sciamano: ha i poteri di guarigione e di predire il futuro, ha il “potere del fuoco” possedendo la magia dei metalli, ossia della trasformazione.  Tubal-Cain è come Efesto, il fabbro degli dèi, esperto del fuoco, della metallurgia ed è come Vulcano, il cui nome deriverebbe dalla folgore. Come direbbe Patrick County, il compito del mito è “quello di rendere l’invisibile concreto e prolungare il concreto nel mondo dell’invisibile”. Il metallo, adatto ad essere forgiato, è qualcosa che viene dal profondo, estratto dalle oscurità della miniera, che possiamo simbolicamente assimilare all’Arché o Inconscio profondo ed è un infra-movimento, un movimento intermedio: luce che condurrà alla materia. Per quale motivo, nella tradizione biblica, è Caino che uccide Abele e non il contrario, visto che il dio biblico è archetipicamente un patriarca pastorale? Perché il suo preferito soccombe? La chiave di comprensione sta in Tubalcain. Caino, in quanto lancia di metallo, “uccide” Abele, il nulla, il niente, l’infinito, fissandolo in un limite, lo impala sull’axis mundi. La maledizione di Caino forgia la disperazione dell’uomo, nel suo incedere, nel suo cambiamento, nella sua trasformazione per superare la vergogna e il senso di colpa che solo un eccesso di innocenza può ribaltare: questo potrebbe essere il senso e significato del piccolo Simon alla ricerca del “vero padre” e non soltanto di un “donatore di seme”.

 

 

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