Buonasera a tutti coloro che ci stanno guardando. Io sono Susanna Basile, questo è Appunti diVini che nasce per mettere in contatto tutti coloro che si occupano di vino, di olio e di birra. Produttori, esperti del settore, stakeholders e associazioni di categoria. https://feudodisisa.com/
Le origini di Feudo Disisa affondano le loro radici nell’ultima leggendaria dominazione: quella normanna. Siamo nel XII secolo, quando il Re di Sicilia Guglielmo II detto il buono, figlio di Guglielmo I il malo e Margherita di Navarra, salito al trono appena dodicenne fece un’opera di pacificazione con le città siciliane ostili alla corona. Feudo Disisa è un dono di Re Guglielmo all’Arcivescovo di Monreale affinché con i proventi ricavati si adoperasse per la costruzione del Duomo. Ed era un dono prezioso, di grande valore agronomico, tanto che il nome stesso del Feudo è una testimonianza diretta della straordinaria bellezza del luogo.

Disisa deriva infatti dalla parola araba “Aziz”, che significa “la splendida”: un termine che era già utilizzato nel 1200 dagli emiri che venivano dal deserto per definire la città di Palermo e, in particolare, la bellezza della Conca d’Oro, con i suoi ricchi terreni coltivati, tra le vie d’acqua e gli inebrianti profumi delle erbe mediterranee, lungo palme e fontane disseminate nelle valli intorno al capoluogo siciliano.

Presentiamo il nostro ospite di questa sera, Mario Di Lorenzo, che è produttore e proprietario di Feudo Disisa. Siamo nella doc di Monreale, quindi andremo presto a trovare lui e tutti quanti gli aderenti della zona di Monreale. Oggi siamo qui presenti perché siamo molto contenti di ascoltare la sua storia.

Come si dice, sul sito è descritta una storia di famiglia. Da oltre un secolo, Feudo Disisa appartiene alla famiglia Di Lorenzo, tramandati da padre in figlio, l’amore e il rispetto per il territorio. Rimangono vividi e intatti ancora oggi grazie all’impegno e alla passione di una famiglia giunta alla sua quinta generazione.

Mario. Buonasera a tutti. Intanto è un piacere essere qua con voi, parlare di Feudo Disisa e della storia della nostra famiglia nel Feudo. La famiglia Di Lorenzo da più di 150 anni è proprietaria del Feudo Disisa, quindi le sorti dell’azienda sono nelle nostre mani da più di un secolo e mezzo. Da sempre la mia famiglia ha legato le sue sorti alla storia dell’azienda. In realtà il Feudo Disisa è un feudo storico del territorio di Monreale, come dicevi giustamente, ed è uno di quei feudi che è appartenuto alla Chiesa per oltre 500 anni e addirittura era stato donato da Guglielmo II all’Arcivescovado di Monreale nel 1100, negli anni in cui a Monreale avevano cominciato a costruire la cattedrale, che poi, come tutti sappiamo, è diventato patrimonio Unesco.

Era stato donato il Feudo Disisa assieme ad altri sette feudi proprio per dare la possibilità all’Arcivescovado di avere sempre denari attraverso la tassazione e attraverso le ricchezze del territorio per andare a completare quell’opera che doveva essere un’opera maestosa, così come poi si è rivelato. Il Feudo arriva alla nostra famiglia, non siamo stati i primi proprietari dopo la Chiesa, ma dai principi di Cassaro, al quale abbiamo acquistato il Feudo nel 1867, e da lì di generazione in generazione è arrivata a me, che sono ormai la quinta generazione nella storia del Feudo. In realtà la nostra famiglia è di origini inglesi, perché veniva nel 1500, la famiglia stava in Inghilterra, poi è venuta in Sicilia e poi la famiglia si era trasferita a Gibellina, lì dove c’era appunto la casa principale della famiglia.
In realtà poi mio bisnonno nel 1900 si trasferì a Palermo e diciamo che abbiamo sempre seguito l’azienda base a Palermo, ma ovviamente con l’azienda avevamo il punto principale economico. Anche se devo dire che poi nel tempo la persona della famiglia che più si è dedicata all’azienda era stato mio nonno, mio nonno che nel 1925 si è laureato in Agraria a Portici, quindi a Napoli, poi tornando in Sicilia ha investito tanto nell’azienda, portandola ad un’azienda che aveva prevalentemente seminativi, ha incrementato in maniera importante gli ettari di vigneto, portandoli a circa 150, ha impiantato i primi uliveti a Feudo Disisa, ma soprattutto ha cominciato a essere il primo a trasformare le uve in vino e quindi ha costruito la prima cantina a Feudo Disisa, oltre ad avere costruito anche la stalla.
Quindi noi abbiamo ancora tutt’oggi una stalla di allevamento di bovini per la produzione di latte e quindi la prima persona della famiglia che veramente ha investito tutta la sua vita nell’azienda è stato mio nonno, il quale ovviamente si è trasferito stabilmente a Disisa e da lì poi ha cominciato a seguire e a cambiare un po’ l’economia della zona.
Diciamo che l’azienda Feudo Disisa è sempre stata un’azienda di riferimento per il territorio, è stata innovatrice e da quel punto di vista, ovviamente essendo anche un’azienda importante, perché considerate che al tempo di mio nonno complessivamente si gestivano 700 ettari, quindi era una proprietà importante, i vecchi Feudi erano di queste dimensioni. Oggi noi ne gestiamo 400 perché poi nel periodo del dopoguerra con la riforma agraria una parte è stata espropriata e diciamo che circa 300 ettari sono stati espropriati e quindi da lì in poi ci siamo dedicati a questi 400 ettari che rimane sempre un’azienda importante.
Susanna: Ci mancherebbe altro, intanto la cosa interessante è che già tuo nonno si era laureato. Esattamente. Quindi già questo diciamo presupponeva un discorso di lungimiranza, perché non si trattava soltanto di un proprietario semplice del Feudo che portava avanti, ma era uno che sapeva quello che stava facendo a tutti gli effetti.
Considerando anche il periodo. Esatto, ho avvertito subito quando ti ho conosciuto telefonicamente che c’era dietro questo. Io ci tengo sempre a dire che faccio parte della schiatta degli psicologi che si occupano della famiglia, in questo caso delle famiglie del vino, quindi ormai a livello di sensibilità mi rendo conto subito che dietro c’è qualcuno che ha comunque una consistenza, una radicalizzazione con il territorio, con la famiglia e con il lavoro che si fa.
Quindi come ben detto tu è interessante questo discorso che lui vede come vino e anche proprio come, penso che sia stato lui anche iniziato a imbottigliare oppure no? Questa è la domanda diciamo di conseguenza. Cosa ha fatto? Ci ha provato?
Mario: No, diciamo che io dico sempre che la storia della nostra azienda segue un po’ con la storia della viticoltura in Sicilia e in quel periodo diciamo il mercato del vino era siciliano, era quello del vino da taglio, quindi un vino prodotto con un’alta gradazione alcolica, una grande struttura, tanto colore, che era destinato a imbottigliatori del nord Italia o addirittura del sud della Francia. Mio nonno, diciamo che nel nostro territorio in generale, il vitigno principale nel Cataratto, accompagnato anche dall’Insolia, si faceva questo vino che aveva 16 se non 17 gradi di alcol, aveva una grandissima struttura, aveva tanto colore che serviva ed era molto ricercato da aziende appunto del nord dove producevano dei vini che erano magari carenti proprio in queste caratteristiche, quindi erano poco alcolici e per dare struttura, colore, si rivolgevano alle aziende del sud, ovviamente in Sicilia, ma anche sicuramente nella zona della Puglia e questo è stato un mercato molto fiorente in quel periodo.
Considera che da noi, mi raccontava mio nonno, che si produceva questo vino, si portava al porto di Castellammare e via nave andava o a Livorno o a Marsiglia in funzione di quelli che dovevano essere i clienti che acquistavano questo vino. La nostra è stata un’azienda che ha ripercorso la storia della viticoltura in Sicilia perché appunto in quel periodo, negli anni 30, il vino siciliano imbottigliato io credo che non esisteva, diciamo che poi la prima azienda a fare conoscere il vino siciliano in bottiglia probabilmente è stata la Corvo, che è stata un’azienda storica, un’azienda regionale e noi quindi fino alla fine degli anni 70 abbiamo prodotto vino con questo obiettivo. Poi quando questo mercato cominciò a essere meno remunerativo o quantomeno cominciavano ad esserci meno richieste perché probabilmente anche al nord cominciarono anche a cambiare le legislazioni, consentire anche l’aggiunta di zucchero in alcune fasi, questo mercato cominciò a essere meno importante, mio nonno decise di chiudere la cantina e da quel momento lì si è cominciato a vendere le uve alle cantine sociali, a conferire le uve alle cantine sociali che in quel periodo, inizio anni 70, inizio anni 80, cominciavano ad essere molto presenti nel territorio.
Ora quando io parlo di territorio io ho detto, tu nella presentazione hai detto che la nostra azienda è il territorio di Monreale. Il territorio di Monreale è un territorio molto vasto, tanto vasto che noi siamo a circa 35 chilometri da Monreale e siamo molto più vicini ai paesi di Partinico, Alcamo, San Cipirello, quindi diciamo che la nostra è un’azienda che è a ridosso della provincia di Trapani e quindi il territorio vitivinicolo di riferimento è stato più quello di Partinico e Alcamo, quindi legato a una tradizione di viticoltura di vini bianchi e quindi quando io ho parlato finora del vino da taglio intendevo appunto col cataratto come avevo detto, quindi prevalentemente un vino da taglio bianco.
Susanna: invece che fanno parte dell’areale di Monreale si estendono poi sempre verso la zona del Trapanese o vanno anche verso la zona di Palermo?
Mario: Allora la Doc Monreale è comunque interamente nella provincia di Palermo e quindi comprende il territorio di Monreale, quindi tutta questa parte diciamo a ovest di Palermo e poi comprende anche territori quali San Cipirello, San Giuseppe Iato, Corleone, Roccamena, Camporeale, Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela, quindi è un territorio abbastanza ampio tutto, io dico è un territorio che non arriva sul mare ed è tutto prevalentemente nelle zone collinare, si va dai 100-150 metri fino ai 900 metri sul livello del mare con vigneti che prevalentemente si trovano nella fascia dei 300-600 metri, quindi una zona collinare che come sapete bene le zone collinare sono sicuramente quelle più adatte per la coltivazione della vite, siamo sempre in Sicilia dove le temperature sono molto calde però il fatto di essere già in una leggera altitudine, si hanno delle escursioni termiche importanti che fanno di dare un refrigerio alle piante nelle ore notturne nel periodo estivo che è fondamentale, oltre al fatto di essere in zone anche particolarmente ventose e questo è molto utile soprattutto quando ci sono le notti con una grande umidità però poi col vento del giorno si asciuga tutto molto velocemente.
Susanna: Quindi poi quando è successo il primo imbottigliamento, la storia della cantina poi a un certo punto ritorna no?
Mario: Sì, e quindi allora riprendo un po’ dove eravamo arrivati, io ho detto che poi abbiamo chiuso la cantina alla fine degli anni 70, abbiamo cominciato a vendere o a conferire le uve alla cantina del territorio, in quegli anni diciamo intorno al 1983-84 abbiamo cominciato a fare sperimentazione sui vitigni internazionali, siamo state una delle prime aziende che in collaborazione con l’Istituto Regionale della Vite del Vino ha investito, ha fatto un vigneto sperimentale sui vitigni internazionali, era un vigneto di circa tre ettari dove c’erano almeno 11 diverse varietà di vitigni, c’erano molti vitigni internazionali quali il Merlot, il Cabernet Sauvignon, il Syrah, lo Chardonnay, il Müller-Thurgau, il Sauvignon Blanc, ma c’erano anche varietà il Riesling e il Pinot Nero che non hanno avuto poi grande successo in Sicilia in seguito, ma c’era anche la Glera che era la varietà con cui viene prodotto il Prosecco, ma questo per dire che era un periodo in cui si cercava di capire come la Sicilia potesse migliorare la qualità dei propri vini e per migliorare si pensò che la strada maestra potesse essere quella del investire nei vitigni internazionali, vitigni che venivano utilizzati in tutto il mondo per fare vini di qualità e quindi per questo vigneto sperimentale è stato portato avanti per almeno 25 anni, ma già dai primi risultati che si ebbero si capì quali erano le varietà che meglio si adattavano al nostro territorio, considera che di questi vigneti sperimentali ce n’erano cinque in diverse zone della Sicilia, tutti seguiti dall’Istituto Regionale della Vite del Vino e veniva poi fatta la vendemmia ovviamente separata per vitigno e venivano micro vinificati nella cantina sperimentale dell’Istituto che si trovava a Marsala, quindi questo fu uno studio molto importante e molto utile per il futuro della viticoltura siciliana. A seguito di questa sperimentazione poi sono stati selezionati tutti i vitigni internazionali che oggi ci ritroviamo in varie zone della Sicilia e in particolare nel nostro territorio i vitigni che hanno sempre fatto la differenza rispetto agli altri sono stati sicuramente lo chardonnay fra i bianchi e il syrah fra i rossi. Ora io dico che questa è stata una sperimentazione molto importante per la storia vitivinicola siciliana perché da quel momento lì sono stati tanti anni in cui si è impiantato vitigno internazionale a discapito dei vitigni siciliani ma si è cominciato soprattutto a lavorare sia in vigna ma poi lentamente anche in cantina con l’obiettivo di fare prodotti di qualità.
Visti poi i primi risultati che sono stati più che soddisfacenti su questi vitigni internazionali si è adattata la stessa tecnica produttiva sui vitigni siciliani e questo ha fatto sì poi che i risultati ottenuti su vitigni siciliani sono stati assolutamente interessanti considera che noi venivamo da anni in cui in Sicilia si faceva più quantità che qualità noi avevamo in azienda dei vigneti a tendone di cataratto che producevano 300 quintali per ettaro e andare a fare qualità con quelle quantità non era facile e quindi noi venivamo da una bassa considerazione della qualità del nostro vino siciliano proprio perché si lavorava in maniera più mirata alla quantità. Da quando si sono applicate le stesse tecniche, banalmente già il sistema di allevamento a tendone è stato abbandonato, si è cominciato a lavorare quasi esclusivamente a spalliera, si è cominciato a produrre non più di 100 quintali per ettaro il vino dei vitigni siciliani è cominciato a venire fuori. Quindi io dico sempre che il passaggio al vitigno internazionale è stato per noi funzionale per capire quali erano le potenzialità dei nostri vitigni siciliani e a quel punto poi dopo il boom, perché c’è stato un boom di 15 anni in cui si estirpava vitigno siciliano per impiantare vitigno internazionale, all’inizio degli anni 2000 c’è un po’ una inversione di tendenza e allora da lì si è cominciato a valorizzare e a cercare di produrre vini con vitigni autoctoni facendo risultati assolutamente interessanti.
Questo è stato un passaggio quasi obbligato, diciamo probabilmente quando si è puntato tanto sul vitigno internazionale si pensava che quella era la strada maestra. Oggi invece poi nel tempo si è capito che il vitigno siciliano che viene coltivato solo in Sicilia, che ha un’unicità e tipicità territoriale che possiamo vendere come unica in tutto il mondo è quello che ci distingue e che sicuramente fa la differenza. Fermo restando che poi alcuni dei vitigni internazionali nel nostro territorio hanno trovato quei microclima, hanno trovato quelle condizioni ideali per crescere e per fare la differenza.
Penso a varietà quali una tipicità che non c’è altrove ma anche lo chardonnay sempre nel nostro territorio. Quindi oggi noi ci ritroviamo a valorizzare molto il vitigno autoctono ma quei vitigni internazionali che non sono più 15-20 ma soltanto alcuni in alcune zone sono rimasti, è come se ne avessimo fatto poi una selezione con i vitigni internazionali.
Susanna: Questo mi dicevi a proposito, ascoltarti è bellissimo ma ogni tanto facciamo la parte che ci sono.
Mi ricordo quando abbiamo fatto l’altra puntata che il disciplinare presupponeva almeno 12-13 vitigni e tu durante questi 12 anni di presidenza del consorzio sei riuscito in qualche modo a trovare la quadra, no?
Mario: Sì, con un confronto con gli altri produttori siamo riusciti a capire che per distinguerci dovevamo concentrarci su pochi vitigni che erano quelli che più potessero essere identificativi delle nostre produzioni.
Susanna: Quello che ho capito perché mi è servito molto oggi quello che hai detto a proposito di questa scelta che è stata fatta dell’ espianto dei vitigni quelli siciliani e il reimpianto invece di vitigni internazionali perché comunque sia c’era stata una supervisione esterofila, esterofila nel senso di qualcuno che veniva da fuori perché dice se voi avete questi vini marmellatosi chiamiamoli così e magari li date vini, uve e li date da taglio perché e loro li utilizzano con quei vitigni di cui hai parlato quindi il cabernet, il sirah il merlot. Impiantatevi voi il merlot, il sirah e il cabernet così potete fare blend con queste uve marmellatose. Potrebbe essere anche questa una domanda?
Mario: Secondo me, è chiaro che quando parte una sperimentazione non è che sia tutto perfettamente chiaro, sicuramente l’obiettivo era quello di migliorare la qualità del vino siciliano che era poco appetibile nella maniera in cui veniva prodotto dal punto di vista qualitativo e quindi per migliorare la qualità si è pensato a quali fossero i vini nel mondo che facessero qualità quindi secondo me è stata più un secondo me inizialmente non si è pensato a fare blend ma proprio a sostituire tant’è che quando in azienda noi poi abbiamo impiantato dopo il vigneto sperimentale i primi ettari di noi piantammo nel 1987 credo abbiamo piantato quattro varietà Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah e in quel periodo noi ancora vendevamo uve in quegli anni tutte le cantine siciliane che producevano. Io mi ricordo chiamavano mio padre per cercare di accaparrarsi queste uve perché erano per loro una base per fare prodotti di grande qualità e quindi io mi ricordo in quel periodo c’era proprio mio padre era assaltato nel mese precedente la vendemmia per chi si potesse accaparrare queste uve.
C’era grande richiesta pochi vitigni i prezzi queste uve sono saliti a valori che non si erano mai visti da noi in Sicilia e per questo motivo poi tanti produttori avevano cominciato a impiantare questi vitigni internazionali ed è stato lì poi che è iniziato. Quando il discorso dell’imbottigliamento no dell’identità proprio per noi per noi comincia poi tardi perché se è vero che mio padre aveva sempre la voglia di fare una cantina di nuovo dopo che si era chiusa quella nel 1978, però in quegli anni c’era sempre mio nonno, che era un uomo io dico sempre molto all’antica che decideva tutto lui che non lasciava spazio a nessuno e non si convinceva e quindi non non aveva questa voglia di investire in una nuova cantina e quindi noi in realtà fino al 2003 abbiamo venduto ho conferito le uve. Dal 2004 anno in cui abbiamo finito la nuova cantina, siamo tornati a fare vino a Feudo Disisa ma questa volta con l’obiettivo di fare prodotti di qualità imbottigliati col nostro marchio Feudo Disisa.
Noi il primo anno quindi 2004 abbiamo fatto quattro vini abbiamo fatto il nostro Chara che è il blend di insolia e cataratto che per noi era come un omaggio alla storia nostra del territorio perché sono quei vitigni che venivano utilizzati da mio nonno per fare il vino da taglio avevamo fatto il nero d’avola il sirah e poi lo chardonnay quindi erano questi quattro vini che sono stati i quattro vini abbiamo fatto il primo anno poi da lì ovviamente lentamente
Susanna: infatti mi hanno dato le schede che io poi opportunamente ho mandato per organizzare una serata di degustazione nella Sicilia orientale perché ogni tanto dobbiamo dirlo a chi ci ascolta noi qui ci dobbiamo organizzare perché la Sicilia è un continente, assolutamente l’abbiamo visto anche Vinitaly cioè che ho visto praticamente in assoluto era il container più grande di tutti perché ho visto che anche il Veneto stesso comunque conviveva con altri vicini per la Sicilia solo la Sicilia cioè per girare solo solo la nostra zona ci volevano due giorni per cui conoscere da parte nostra quindi la Sicilia orientale la Sicilia occidentale ci vuole è un viaggio è un’organizzazione a tutti gli effetti
Mario: ma tu dici bene la Sicilia dal punto di vista del vino è un continente ma è un continente perché noi ci troviamo nella Sicilia un’isola al centro del Mediterraneo con delle conformazioni di terre diverse perché ovviamente abbiamo la zona dell’Etna che è una zona ovviamente vulcanica la zona nostra è più legata alle terre nordafricane e quindi argillose per poi andare nella zona del sud del sud est della Sicilia che sono più terre sabbiose e quindi già abbiamo delle differenze di suoli differenze di altitudini perché in Sicilia si fa vino dal livello del mare fino ai mille metri oltre i mille metri e poi abbiamo differenze di vitigni quindi se noi andiamo da una zona della Sicilia all’altra vedi che le differenze di altitudini, perché in Sicilia si fa vino dal livello del mare fino ai mille metri, oltre mille metri, e poi abbiamo differenze di vitigni, quindi se noi andiamo da una zona della Sicilia all’altra, vedi che cambiano completamente vitigni, sapori, intensità.
Un dato che a volte colpisce molto le persone che sentono parlare del vino siciliano è che la vendemmia in Sicilia è forse la più lunga che c’è sicuramente in Italia, perché noi cominciamo a fine luglio nelle zone sul mare, diciamo zone di Menfi, Marsala, Agrigento, e finisce poi nel mese di novembre sull’Etna, quindi abbiamo vendemmie che durano oltre 100 giorni, e quindi capisci bene che da tutte queste differenze di suoli, temperature, vitigni, anche diverse condizioni climatiche, i risultati sono assolutamente diversi.
Susanna: Anche l’acqua, sto parlando dell’irrigazione quella di emergenza, nonostante tutto questo, ma anche l’acqua in questo caso della pioggia è diversa, perché è diverso il sistema climatico, una volta che c’è un’evaporazione diversa, una luce diversa, anche la luce solare.
Io ogni volta che ho girato le varie coste della Sicilia, come si dice, sia da dove tramonta il sole, sia dove poi si erge, è completamente diversa anche la luce di esposizione, cioè non c’è una cosa, cioè effettivamente è tanto quanto la Lombardia più o meno, come dimensioni, solo che praticamente la Sicilia non ha un posto sia per la parte della costa e sia per la parte interna che assomiglia all’altro. Quindi è vero quando si parla di Cataratti, di Neri d’Avola, di Sirah, cioè si deve parlare al plurale, non esiste che si può parlare al singolare dei nostri vitigni. Non è possibile, anche voi stessi, non avete nella stessa zona di Monreale, nella DOC, un Sirah che ha lo stesso sapore di un altro, non ci credo.
Mario: Il ragionamento poi nel nostro piccolo della DOC Monreale è stato questo, abbiamo già un territorio che è molto vasto, mantenere nel disciplinare più di 12 diversi vitigni significava andare sul mercato con dei vini completamente diversi. Oggi noi, avendo limitato le varietà, almeno abbiamo dei vini che hanno una stessa matrice. Poi è chiaro che il Cataratto fatto nella mia zona, piuttosto che quello della zona del Corleonese o del Camporealese, può avere delle note diverse, ma la matrice di partenza è sempre la stessa, il Cataratto, il Perricone, il Sirah, che sono dei vitigni che hanno un comune denominatore.
Susanna: ora invece facciamo così una carrellata, perché ho qua le tue schede, quindi vorrei fare una carrellata, visto che praticamente distingui i vini secondo, diciamo, il trattamento, secondo la cultura, per esempio avete distinto i territoriali, che sono il Sirah, il Nero d’Avola e il Chara, giusto?
Mario: Il Chara, che è il blend Insolia e Cataratto, e il Grillo. Questi sono dei nostri, diciamo, la nostra linea più giovane, dei vini più giovani, sono il Cataratto e il Grillo, il Cataratto con l’Insolia, quindi il Chara e il Grillo, sono vini bianchi di annata, sono vini molto freschi, molto fruttati, molto intensi, che fanno della freschezza e della facilità di beva la loro forza. Considera che il Chara per noi è diventato un must, come ti dicevo è stato il vino che noi produciamo fin dal primo anno, ma che nel 2016 a Verona, al concorso internazionale del Vinitaly, ha avuto un grande successo, perché è stato riconosciuto come miglior vino bianco del concorso internazionale del Vinitaly.
Fra 4.000 vini degustati alla cieca è risultato il miglior vino bianco, con grande orgoglio, ma soprattutto con grande stupore nostro, perché per noi il Chara è sempre stato il vino, diciamo, d’ingresso, ma sicuramente più economico dell’azienda.
Susanna: ma perché si chiama Chara?
Mario: Chara, come Adhara, che è poi il Syrah, sono nomi di stelle, sono gli unici nomi di fantasia che noi abbiamo utilizzato nella nostra gamma dei prodotti, e quindi diciamo che già il Chara, soprattutto essendo un blend di insolia e cataratto, non volevamo mettere il nome solo del vitigno, quindi un nome di fantasia, e alla stessa maniera abbiamo utilizzato per il Syrah questo nome Adhara, che sono nomi di stelle. Mio padre dice, i nomi sono arrivati dal cielo.
Susanna: Poi vedo che voi utilizzate, a me piace molto quando si mettono i vitigni nell’etichetta, in maniera chiara, che questo è un sistema che abbiamo studiato da poco nel corso, che è un sistema più europeo, o comunque fa parte del resto del mondo, invece questo è interessante perché uno sa che è così, cataratto, insolia. Secondo me quante più informazioni si danno nell’immediato al consumatore, quanto più si è chiari, tanto più facilità di approccio al vino si può avere. Quindi devo dire, la scelta è quella.
Ma infatti anche per quanto riguarda le schede, quello che è interessante è come viene prodotto, dove viene prodotto e le note di degustazione, punto. Questo ne avevamo parlato anche col professore Vincenzo Russo, che quando si mettono… è un vino naturale, è un vino fatto secondo le istruzioni della famiglia, che cosa gliene importa al consumatore di queste informazioni? Le informazioni devono essere reali, pratiche.
Mario: Diciamo che il professore Russo poi guarda anche un altro aspetto, quello proprio di neuromarketing, di scelta, di quanto un’etichetta possa trarre ed essere accattivante nei confronti di un consumatore.
Lo conosco molto bene, è un amico, è una persona che ha una grande passione su questi aspetti del vino. E sono interessanti.
Susanna: Nei Tesori, invece, siete un pochettino più narrativi, no? Nell’etichetta, da questo punto di vista.
Mario: Lì c’è una narrazione che parte da una leggenda, la leggenda del Lu Bancu di Disisa, il tesoro di Disisa. Questa è una leggenda popolare di cui ho sempre sentito parlare dai contadini del luogo, fin da quando ero bambino. Il tesoro di Disisa, il tesoro di Disisa.
Io, facendo poi una ricerca, ho trovato che c’erano due scrittori di queste leggende popolari siciliane, anche molto famosi, quali il Pitrè e il Salamone Marino, che avevano riportato per iscritto questa leggenda, due versioni leggermente diverse. E parlavano appunto di questo tesoro nascosto nelle terre di Disisa, quindi questo Lu bancu, è un Greco di Livanti, che poi è il nome del nostro rosato, quindi una persona che viveva probabilmente a Livanti rispetto alla Grecia, quindi in Turchia probabilmente, aveva trovato un libro nel quale si descriveva questo tesoro ricchissimo che si trovava in Sicilia. In questo libro c’era scritto pure dove si trovava, che era all’interno di una grotta, descriveva pure come arrivare, e allora questo Greco di Livanti fa armi e bagagli e viene in Sicilia a cercare il tesoro.
Arrivato a Disisa, trova la grotta all’interno del quale c’era questo tesoro, entra dentro e trova ricchezze incredibili, montagnette di monete di oro, questi Granmassenti, che è appunto poi il nome del terzo vino che noi leghiamo alla leggenda, che è il nostro perricone, Granmassenti di monete d’oro e d’argenti, c’erano monili, insomma era una cosa incredibile. Questo personaggio all’interno della grotta poi ovviamente cerca di riprendere tutto quello che può, il problema è che lui non riesce più a trovare l’uscita della grotta, fin quando non lascia all’interno della grotta tutte queste ricchezze. In realtà nel libro c’era scritto pure come sbancare il banco di Disisa, ma per fare questo bisognava portare all’interno della grotta tre santi Turrisi che non si capisce bene chi siano, tre capi di regno e tutti insieme mangiare una cavalla bianca cucinata a frittella, solo così si sbanca il banco di Disisa.
La leggenda terminava con il re turco che chiedeva sbancare il banco di Disisa e a risposta negativa lui diceva povera Sicilia, nel senso che la Sicilia resterà povera fin quando non si riuscirà a tirare fuori questo tesoro ricchissimo. Ovviamente questa è una leggenda, di queste leggende delle trovature ce ne sono diverse, ce n’è una anche su Entella, però devo dire questo ci ha un po’ spinto a fare una linea di prodotti autoctoni, quindi noi abbiamo fatto questa nuova linea, che ormai abbiamo da quasi una decina d’anni, in cui abbiamo inserito i due vitigni che oggi per me rappresentano più l’identità del nostro territorio e quindi il Cataratto e il Perricone e il Rosato di Nero d’Avola. Questo per dire che nel vino c’è un legame fra vitigno, territorio, storia e quindi l’abbiamo voluto fare con questi tre vitigni autoctoni e abbiamo volutamente mettere in etichetta uno stralcio della leggenda in dialetto siciliano, quindi tutte queste tre etichette vanno in giro nel mondo con questa descrizione in siciliano e devo dire secondo me è una cosa molto simpatica
Susanna: perché è bellissimo che si dice molto simpatica, è una cosa fantastica.
Mario: Nel senso che noi vendiamo la sicilianità.
Susanna: E’ un valore aggiunto, allora qualsiasi cosa che viene identificata che è un surplus, che dà qualcosa in più è un valore aggiunto. Infatti ma vedi che non è che io con tutti i produttori metto qua a guardare le schede, ci mancherebbe altro, magari si parla di un vino diciamo importante, però siccome qui c’è un percorso a tutti gli effetti, così come poi ho visto la linea Cru.
Mario: Nella linea dei Cru abbiamo invece lì messo, tranne per lo Chardonnay per gli altri vini, abbiamo sempre messo il nome o della Contrada o proprio della vigna da cui viene prodotto questo vino e quindi noi abbiamo il Terra delle Fate che è il Fiano, che è il nome della zona dove noi abbiamo piantato per la prima volta questo Fiano, Fiano di Avellino che non è un vitigno prettamente siciliano ma che noi abbiamo in azienda da più di 25 anni e che abbiamo dedicato un’etichetta per questo vino e poi abbiamo il Vuaria, Roano e Tornamira che sono proprio i nomi dei vigneti, quindi di Nero d’Avola, di Sirah e Tornamira in realtà è il nome della zona dove 35 anni fa abbiamo piantato in azienda per la prima volta questi tre vitigni, Merlot, Cabernet Sauvignon e Sirah.
Susanna: Poi avete un vino da dessert che è il Chrysos
Mario: che è una vendemmia tardiva a base di grillo con una parte di traminer aromatico ed è l’antico nome greco di Grisì che è la frazione accanto a Feudo di Sisa, quindi anche qua un legame col territorio, fra l’altro considera che Chrysos, il nome greco, deriva dalla parola chresos che significa oro e se vedi il colore di questo vino è un colore ambrato che può ricordare l’oro, ma quando verrai in azienda te lo faccio assaggiare perché merita.
Susanna: Si diceva così più ricco di Re Creso che fa parte insomma di quei Re che tutto quello che toccava diventava oro e quindi alla fine è morto di fame. Poi c’è anche lo spumante così insomma ormai completiamo lo spumante che è René.
Mario: Renato è il mio padre, abbiamo dedicato il vino più prestigioso che abbiamo a mio padre, è un metodo classico, è un 60 mesi, quindi un 60 mesi sui lieviti, è un vino che noi facciamo prima annata 2016 e oggi stiamo ancora vendendo la 2017, è un vino a base di chardonnay perché anche lì la prima volta che ho parlato con l’enologo sul voler fare un metodo classico lui mi ha detto, perché io ero indeciso onestamente, se utilizzare un vitigno siciliano come potesse essere il cataratto o un vitigno internazionale e lui mi dice ma guarda noi facciamo uno chardonnay che è eccezionale, lo chardonnay il vitigno nel mondo che meglio si presta a fare un un metodo classico ma perché non dobbiamo andare con lo chardonnay.
Susanna: Non si può chiamare in quel modo no?
Mario: Non lo possiamo chiamare champagne, ma è il nostro spumante metodo classico e devo dire che ci sta dando grandi soddisfazioni.
Susanna: Si può chiamare così però si capisce che è quella cosa là, ma noi lo chiamiamo cremant visto che poi proprio per finire finire finire così chiudiamo e siamo felici c’è questo vino frizzante che penso che abbia a che fare con la nuova tendenza dei vini diciamo da aperitivo no? Insieme all’altro.
Mario: Sì, i frizzanti devo dire io penso che in realtà la nostra azienda è un’azienda che punterà nel futuro più ai vini ai vini ai metodi classici infatti abbiamo già fatto un altro metodo classico in 24 mesi che in futuro probabilmente sostituirà i frizzanti.
Il frizzante è un vino che è nato più per esigenze commerciali però è un vino molto fresco è un vino che ha ovviamente molto più giovane meno io dico meno intrigante degli spumanti ma che sicuramente è un vino come dici tu moderno e che segue una tendenza più moderna.
Susanna: Queste donne dell’aperitivo cioè queste donne dell’aperitivo.
Mario: Le donne io credo molto nelle donne nel consumo delle donne del vino che io dico puntano più a prodotti di qualità però c’è sicuramente una tendenza molto femminile nella beva del vino.
Susanna: Quindi c’è stato comunque un capovolgimento no? Andiamo verso la chiusura però c’è stato un capovolgimento da quando abbiamo iniziato a parlare dei vino rosso marmellatoso fino a togliere la pesantezza del vino in qualche modo c’è proprio quello e andare verso la leggerezza che non è superficialità assolutamente perché questo è importante su questo discorso che abbiamo fatto così anche come i rossi. Io che non sono una grande amante del Nero d’Avola normalmente perché è troppo tannico cioè a volte così. Ho notato nel corso di questi anni il Nero d’Avola così come il Perricone ma questa è una sua tendenza è diventato sempre più setoso sempre più vellutato cioè in qualche modo siete riusciti parlo proprio a livello di cantina quindi di affinamento perché chiaramente l’affinamento elimina questa durezza questa astringenza dei tannini e ad avere un vino di qualità per tornare al discorso cioè è sempre un Nero d’Avola che ha una sua consistenza una sua struttura è diverso da quello di Avola nel senso della zona di Pachino che è diverso anche da quello del vulcano che però nello stesso tempo non è costrittivo ecco questo diciamo io ho notato nel corso di questi anni questa tendenza a voler mantenere il Nero d’Avola, i neri d’Avola come dicevi tu, cioè come vitigno fondamentale.
Mario: Sicuramente oggi il vino deve essere bevuto, oggi si va incontro c’è questa, devo dire che non c’è un grande momento per il consumo del vino, cioè si parla tanto di vino no alcol quindi sicuramente andare a produrre vini che sono con alte gradazioni molto pesanti non facili da bere è un po’ un controsenso delle richieste del mercato oggi quello che viene richiesto è sicuramente un vino molto più fresco facile da bere con gradazioni alcoliche devono essere giuste non esagerate e io devo dire che il nostro territorio come dicevamo inizialmente in zone collinari con delle escursioni termiche importanti fanno sì che l’acidità del vino diventa una caratteristica importante quando parlo di acidità significa che nel vino noi la riscontriamo come freschezza, la freschezza che è evidente nei nostri vini bianchi ma poi la si ritrova anche sui rossi nel momento in cui si vanno ad assaggiare delle annate più vecchie noi per esempio abbiamo alcuni vini ancora come annate in corso la 2020 la 2021 sono vini che hanno ancora una freschezza di base che è data proprio dalla acidità che rappresenta un po’ la spina dorsale del vino e quindi questo sono delle note importanti per andare a fare una vinificazione moderna nel senso che possa essere apprezzata dai consumatori.
Susanna: Poi oggi siamo nel 2025 e quindi già voi siete in grado di fare anche delle verticali da questo punto di vista, quindi anche come come data da questo punto di vista sono ormai vent’anni che voi producete vino quindi avete anche questa possibilità di andare a capire la trasformazione dei vini, come si sono evoluti da questo punto di vista, è importante questo sicuramente.
Mario: Le verticali secondo me sono sempre un momento molto importante per capire com’è l’evoluzione, per capire come è vero che poi noi ci confrontiamo noi siamo io dico siamo degli artigiani del vino nel senso che non tutte le annate sono uguali perché ovviamente quello che esternamente, le temperature, le piogge, le condizioni climatiche condizionano molto quindi fra un’annata e la precedente e la successiva ci sono sempre delle differenze però è bello sentire pure queste differenze come cambiano nell’arco del tempo e quindi avere la possibilità di fare una verticale con cinque sei annate precedenti è secondo me sempre qualcosa di molto costruttivo soprattutto lì dove noi andiamo a prendere i monovitigni, una verticale di cataratto, una verticale di perricone sono secondo me molto molto indicative e molto interessanti da proporre quando noi le abbiamo fatte in azienda abbiamo sempre avuto un riscontro da parte del pubblico molto interessante.
Susanna: Ringraziamo Mario Di Lorenzo e lo salutiamo, salutiamo tutti gli spettatori e spettatrici che ci hanno seguito e vi aspettiamo per una nuova interessante puntata di Appunti Divini che è prodotta da Naos Edizioni APS Siciliareport.it.
Mario: Grazie, grazie a te, grazie a tutti e spero di avervi in azienda al più presto.